Dopo la calorosa accoglienza riservata a “Filande, filandine e filandere”, concerto di canzoni lombarde di filanda, il gruppo de La Colombera si ripresenta con un nuovo lavoro:

Moretti, maritate e carrettieri

Concerto di canzoni lombarde d'amore

Voci: 

Francesca Biava
Roberta Locatelli
Mirella Valota

 

Fisarmonica: Gigi Zonca

Flauto: Giovanni Bertocchi

Percussioni: Raffaele Di Gioia

Chitarra e arrangiamenti: Gianpietro Bacis


Il concerto propone alcune delle più belle canzoni d’amore diffuse in tutta la Lombardia.

Alcuni di questi brani venivano cantati durante i lavori sulle aie contadine e parlavano di amori leciti e, molto più spesso di amori anche solo immaginati ma non per questo meno intensi e, in qualche caso devastanti.

Altri brani venivano intonati dalle madri come ninne nanne e lasciavano affiorare il profondo disagio della condizione femminile nella civiltà contadina.

Altri ancora venivano eseguiti nei momenti di festa, come sfogo liberatorio rispetto alle fatiche della quotidianità.

Non possono mancare infine le canzoni che ripropongono l’epopea dei venditori ambulanti che passavano nelle contrade vendendo le loro mercanzie e stimolando, con i loro racconti, le fantasie delle giovanissime sull’esistenza di un mondo urbano ben diverso dal loro angusto ambito paesano, costretto fra l’intransigenza dei genitori e la non meno opprimente prospettiva di una famiglia propria, con mariti sempre indaffarati e lo stuolo interminabile dei figli.

 

Aldilà degli aspetti nostalgici e dei facili ammiccamenti, cui la musica popolare dialettale, suo malgrado, è sottoposta, Il concerto vuole essere un omaggio ad un mondo che abbiamo appena dietro le spalle e che lascia, ancora oggi, radici profonde nell’immaginario collettivo di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incrociarlo attraverso il racconto e la testimonianza delle generazioni che ci hanno preceduto.

 

Le foto del concerto di Osio Sopra del 12 Agosto 2010




 

    

 

Recensione: L'ECO DI BERGAMO 15 Agosto 2010

 

 

Le canzoni in programma

En có de l’éra

Moretto, moretto

Lo(i) bella va in giardino

Quando che sento a battere la scöriada

La belå de Oplagå

Già nel ciél tranquilla luna

Dona Lombarda

Quèla che canta l'è öna maredadå

Cecilia

E lée la va de sura (la ricciolona)

Guarda là quella chiusa finestra

El me murùs el sta de là del Sère

Dammi un rìccio

Tutti i brani appartengono alla tradizione popolare e gli arrangiamenti originali sono di Gianpietro Bacis.

 

Ascolta o scarica il brano in formato mp3 "La belå de Oplagå"

Ascolta o scarica il brano in formato mp3 "Già nel ciel tranquilla luna"

Ascolta o scarica il brano in formato mp3 "Guarda là quella chiusa finestra"

Ascolta o scarica il brano in formato mp3 "Dammi un riccio"

 

Per contatti: Mirella Valota 338 7488945, Gianpietro Bacis 035 501029 gp.bacis@gmail.com


  

En có de l’éra

 

Nella zona collinare della nostra regione, le case contadine avevano la forma dei casolari isolati e, nei nuclei abitati, assumevano la forma di agglomerati di fabbricati addossati l'uno all'altro, affacciati sulle stradine che percorrevano l'abitato.

Nella zona pianeggiante delle provincie di Bergamo, Brescia e, più a valle nelle provincie di Mantova, Pavia e Cremona, le case nascevano attorno ad un cortile e, in mezzo al cortile troneggiava l'aia, come spazio indispensabile e indissolubile rispetto alle case che si affacciavano sul cortile.

Sull'aia si consumavano tutte le attività della vita contadina.

Sull'aia si stendeva ad asciugare il granturco o mais, sull'aia si batteva il frumento per separare il grano dalla pula, sull'aia si stendeva ad asciugare il fieno prezioso del mese di maggio, il maggese o maggengo, prima che fosse accatastato nei fienili.

Nelle occasioni di festa, inoltre, sull'aia si festeggiavano i battesimi, i matrimoni e le altre occasioni quali la festa del patrono e la festa del ringraziamento.

Sostenute da cavalletti di legno, si preparavano sull'aia le assi dei bachi da seta (caalér) e si imbandivano le tavole con quello che poteva offrire la condizione di mezzadri. L'immancabile fisarmonica accompagnava i canti e i balli alla fine delle cene consumate fra i bambii piccoli da far dormire e quelli un po' più grandi che non ne volevano sapere di smettere i giochi.

L'aia, come testimone di tutto quello che avveniva attorno alla vita dei mezzadri, finiva per essere il vero altare pagano sul quali si consumava l'inera vita dei contadini.

Sull'aia potevano inoltre nascere amori, come descritto in questa canzone, a volte leciti, altre volte illeciti o addirittura inconfessabili e, proprio per questo ancora più intensi e travolgenti.

 

En có de l’éra gh’è ün camì che fömå

l’amòr del mio bén che si consömå

e ‘l si consömå a poco a poco

come la legna érda ‘nsima al fuoco

O-i siò-o

En có de l’éra gh’è öna piantilinå

con sö trì pumilì e öna marinå

O-i siò-o

O Gioanì o Gioanì

dunimm la bunå ‘ndadå

la ostå gambå l’iff amò maladå

La ostå gambå l’iff amó maladå

O-i siò-o

En có de l’éra gh’è öna piantilinå

E töcc i ramilì i ciamå Gioanì

O-i siò-o

 



   

Filmato: "Giön, dù, trì, quater sac" (la sparizione del grano) di GIUSEPPE MORANDI

Visualizza filmato originale su YOUTUBE

 


Partitura

 

Traduzione

 

In cima all'aia c'è una camino che fuma / l'amore del mio bene che si consuma / e si consuma a poco a poco / come la legna verde in cima al fuoco O-i siò-o (melisma largamente diffuso in tutte le canzoni bresciane).

In cima all'aia c'è una piantina / con su tre meline e un'amarena.

Oh Giovannino oh Giovannino / donatemi la buona andata (partenza) / la vostra gamba l'avete ancora malata?

In cima all'aia c'è una piantina / e tutti i rametti chiamano Giovannino.

 

Note

 

Canzone raccolta a Cigole (Bs), basso corso del fiume Mella, da Glauco Sanga e pubblicata su "Dialetto e folklore - Ricerca a Cigole".

Informatrice: Giulia Bontempi (Senèlå).

 

Rispetto alla versione raccolta da Glauco Sanga, abbiamo tralasciato le seguenti strofe:

 

Se me maride volio tö giùn biolco

che a ura de disnà l'à fatto un solco

e a ura de marenda n'à fà 'n'alter

quando lìè sira l'è piö strach di alter

 

Se me maride volio tö giùn grando

che 'l me farà umbrìa in mez al campo

 

Se me maridi volio tö giùn bello 

no òi vardà nè al rich nè al poverello

 

Se mi marito voglio sposare un bifolco (contadino) / che all'ora di pranzo ha fatto un solco (di aratura) / e all'ora di merenda ne ha fatto un altro / quando è sera è piu stanco degli altri.

Se mi marito voglio sposare uno grande / che mi farà ombra in mezzo al campo.

Se mi marito voglio sposare uno bello / non voglio guardare nè al ricco nè al poverello.

 

Strofe che venivano utilizzate, oltre che come intercalari nelle ninne-nanne, anche come ritornelli scherzosi durante i giochi.

 

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Moretto, moretto

 

 

"Moretto moretto" è una canzone diffusa in tutta l'Italia del Nord . Le versioni cambiano notevolmente, passando da versioni liriche a versioni scherzose e irriverenti.

Abbiamo privilegiato la versione raccolta dal gruppo Padano di Piadena.

Sul protagonista maschile non vi sono dubbi e in tutte le versioni è Moretto. Quanto alla protagonista femminile, in alcuni casi è Rosina e in altri è Ninetta.

Anche sulla situazione ci sono grossi dubbi. Non si capisce se lui è sulla sponda e Rosina passa con la barca o viceversa. in entrambi i casi i giovani non possono incontrarsi perchè sono sotto lo sguardo vigile della madre di lei.

La realtà è che, in questa canzone più che in altre, l'attenzione di cantori è concentrata sulla corrispondenza fra i suoni della parole e la musica, molto più che sul senso compiuto della storia raccontata.

 

Moretto moretto mio bel giovinetto

Che porta i capelli le onde del mar

Le onde del mare la barca filava

Rosina chiamava moretto vien qua

Non posso venire la mamma mi tende

Moretto mi rende una gran compassiòn

Mi levo il cappello lo getto per terra

Rosina sei bella sei bella per me

Le onde del mare la barca filava

Rosina chiamava Moretto vien qua

 

 

Partitura

 

Traduzione

...

Non posso venire la mamma mi controlla

...

 

Note

 

Canzone raccolta a Piadena (Cr), sponda destra del fiume Oglio dal Gruppo Padano di Piadena.

Informatrice: Adelaide Bona (foto sotto).

I canti popolari che il Gruppo Padano ha raccolto e studiato sono giunti fino a noi trasmessi oralmente di generazione in generazione.

L’origine di alcuni di questi canti è antichissima.

Le ballate e i canti narrativi, che spesso raccontano fatti di cronaca, ebbero larghissima diffusione in tutta Europa durante l’età feudale. E, come oggi i fatti tragici vengono comunicati con la televisione, allora erano diffusi dai cantastorie, ma anche per altre vie. Sulle strade dell’Europa medioevale camminavano ricchi e poveri, monaci e pellegrini, mercanti, contadini, soldati, vagabondi di ogni genere. E con loro camminavano le storie, le leggende, le favole.

 

In una versione raccolta nel centro-Italia, più precisamente in Toscana, la strofa finale diventa: "Baciarti conviene, sposarti non so", ma ci siamo attenuti scrupolosamente alle versioni raccolte nell'alta Italia, che, con leggere varianti, matengono un carattere assolutamente lirico.

 

 

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Lo(i) bella va in giardino

 

 

L'evento che più di tutti ha scatenato la fantasia e la creatività dei cantastorie a cavallo fra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 è senz'alro l'impresa dei Mille di Garibaldi (sotto la "Partenza di Quarto" in una illustrazione di Giorgio Trevisan (1934). Agli angoli delle strade, aiutandosi con pannelli disegnati, i cantastorie raccontavano l'impresa dei temerari, in gran parte bergamaschi, che, con le camicie rosse confezionate probabilmente a Casnigo, in valle Seriana, si imbarcarono a Quarto quel 5 Maggio del 1860 decisi ad unificare l'Italia marciando dalla Sicilia verso il Nord.

 

Da qui nacquero una serie di canzoni dedicate ai garibaldini: "Lo(i) bella va in giardino" ne è un esempio. Che il cavaliere sia un garibaldino è evidentemente un pretesto per attirare l'attenzione dei passanti.

Questa canzone, in realtà, fà il verso ad un'altra canzone precedente e ben più famosa: "Lisetta", documentata da Costantino Nigra nei suoi "Canti popolari del Piemonte", pubblicato per la prima volta nel 1888. Lisetta, non vedendo tornare il fidanzato dalla guerra, si incammina sulle sue tracce. Incontra un giovane e a lui chiede conto del suo fidanzato. Il giovane risponde che purtroppo l'ha visto accompagnato da un frate e da due becchini che l'andavano a sotterrare ...

 

    Lisetta la getta un grido e a terra tramortì

    Sta sü sta sü Lisetta che son io il tuo primo amor

    E al suon delle campane la Lisetta la si sposò

    U-a

 

Lo(i) bella va in giardino e là si adormentò

Traverso il suo giardino passa di un cavalier

La despiccà una rosa e ghe la misa in sén

La rosa l’era fresca lo(i) bella si svegliò

 

 

Strofe non cantate durante il concerto

 

Sassìn d'un cavaliere com'è-la che sì chì

Mi son vegnù da Roma per dir chi ò massà
E quel che ì massato com'erelo vestì
L'era vestì di rosso col capelìn turchin
E quel che ì massato l'era il mio primo amor
Ma no stà a pianger bella che il primo amor son mì

 

Partitura

 

Traduzione

 

La bella va in giardino e là si addormantò

Traverso il suo giardino passa un cavaliere

Ha staccato (distccato) una rosa e gliela messa in seno

La rosa era fresca e la bella si svegliò

Assassini di un cavaliere com'è che siete qui

Sono venuto da Roma per dirti chi ho ammazzato

E quello che avete ammazzato com'era vestito

Era vestito di rosso con un cappellino turchino

Quello che avete ammazzato era il mio primo amore

Ma non state a piangere bella che il tuo primo amore sono io

 

Note

 

Canzone raccolta a Villa Garibaldi frazione di Roncoferrato (MN) da Gianni Bosio nel 1965.

Informatrici sono le mondine di Villa Garibaldi: 

 

Andreina Fortunati

Clara Benedusi

Ebe Dalmaschio

   

Le mondine di Villa Garibaldi

 

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Quando che sento a battere la scöriada

 

 

La "scöriada", letteralmente "escoriata" era la frusta di cuoio dei carrettieri che arrivavano nei paesi per vendere le loro mercanzie, o per comprare merce di recupero.

Così passava il carrettiere che vendeva "L'acqua dei panni" (candeggina), le scope di saggina e gli spazzettoni, un altro vendeva stoffe, ref e aghi da maglia, passava a raccogliere le pelli di conigli per le pelliccie di "lapin", quelle impagliate valevano di più di quelle semplicemente essiccate sui fili per distendere i panni. Un altro raccoglieva lattine, ferro, rame dei vecchi fili ecc.

Il compenso difficilmente consisteva di denaro ma, molto più spesso, ai ragazzi il carrettiere dava una manciata di confetti; quelli più diffusi erano gli "asabesi", rombi di liquirzia rivestita di confettura.

Non mancavano poi gli ambulanti che riparavano le pentole, lo stagnino, oppure l'arrotino che affilava vecchi coltelli e forbici.

Una menzione a parte meritano gli spazzacamini. Arrivavano molto spesso dalla Val Vigezzo, la valle dei pittori. In realtà una valle poverissima che collega la città di Domodossola con la svizzera Locarno. I suoi abitanti, per sbarcare il lunario, scendevano in tutta la Lombardia a pulire i camini.

In generale i forestieri che arrivavano nei paesi con i motivi più disparati, esercitavano sulle ragazze del paese un certo fascino parlando della vita lussuosa delle città fra luci, negozi, tram e teatri. Sfruttando il fatto che, non vivendo in paese, nessuno poteva verificare le loro storie, conquistavano le ragazze con i loro racconto, molto spesso di pura fantasia, così come avrebbero fatto, in altre epoche, i camionisti, gli aviere e, per antonomasia i marinai.

Meritano una menzione particolare gli spazzacamini della Valvigezzo. La valvigezzo è la valle che collega Domodossola e Locarno in Svizzera, a Nord del lago maggiore. Durante l'estate i valvigezzini scendevano nelle provincie di Milano, Bergamo e Brescia a spazzare i camini, dormendo nelle foresterie o nelle parrocchie che li ospitavano. Lo spazzacamino è un lavoro duro oltre che malsano e l'appellativo di Valle dei Pittori, dato alla Valvigezzo, si riferisce al fatto che molti pittori rimanevano incantati dai paesaggi e dai colori di questa valle e vi si trasferivano.

In realtà i suoi abitanti erano perlopiù povera gente e sbarcavano il lunario con questa attività.

 

 

Quando che sento a battere la scöriada

Só inemorada d’un caretér

Ohilé só inemorada oilé só inemorada

Ohilé só’ inemorada oilé d’un careter

 

Il caretére l’è sempre in baracca

E mai si stanca del sò mestér

Oilé e mai si stanca oilé e mai si stanca

Oilè e mai si stanca del sò mestér

 

Il caretére l’è se – a l’è sempre intorno

Tutta la notte e il giorno l’è mai con me

Oilé la notte e il giorno oilé la notte e il giorno

Oilé la notte e il giorno l’è mai con me

 

E la rovina l’e stacia la mia(i) mamma

Mi dava troppo di libertà

(prima volta senza musica, la seconda con musica)

Oilé mi dava troppo oilè mi dava troppo

Oilé mi dava troppo di libertà  

 

    

Le immagini sono visualizzabili a grandezza originale

sul sito dell'Archivio di etnografia e storia sociale della Regione Lombardia (AESS)

http://aess.regione.lombardia.it  

 

Partitura

 

Traduzione

 

Quando sento a battere la scoriata / sono innamorata di un carrettiere.

Il carrettiere è sempre in baracca / e mai si stanca del suo mestiere.

Il carrettiere e sempre in giro / la notte e il giorno non è mai con me.

E la rovina è stata la mia mamma / mi dava troppa libertà.

 

Note

 

Canzone raccolta a Cologno al Serio (Bg) da Gianni Bosio.

 

Informatrice Palma Facchetti.

 

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La belå de Oplagå

(la bionda di Voghera)

 

Questo canto narrativo risulta diffuso in tutta l'alta Italia ma se ne trovano tracce anche in Abruzzo e nel Lazio.

A seconda della zona diventa: La bionda, o la biondina di Voghera, la bionda di Borima, la bionda di Rubiera ecc.

Riportiamo il seguente brano tratto da "Senti le rane che cantano", splendido trattato di canzoni di risaia di Franco Castelli, Emilio Jona e Alberto Lovatto.

 

" ...

La canzone narra di una giovane contadina bionda che andando in campagna a far l'erba o ad attingere l'acqua (nella lezioni di risaia va a mondare il riso), per ripararsi dalla calura si siede all'ombra di un albero e viene sedotta da un giovane (forestiero, soldato, marinaio a seconda delle versioni).

Rientrata a casa si lamenta con la madre che all'indomani va dal giudice (o dal sindaco) a chiedere soddisfazione.

Il giudice, nell maggior parte dei casi risponde che la soluzione sta nel tenere le ragazze in casa e non lasciarle andare per via a "far l'amore con i soldati". In altre lezioni il giovane imputato viene multato o costretto a procurare la dote alla ragazza o a sposarla.

..." 

E la Belå de Oplagå a catà l’erbå la se ne va

La g’à ‘l viaggio troppo lungo e la sìede a riposar

Contrapassa d’un bel giovane che la voleva per ben baciar

La và a caså dela sò mamå mammå mia mi ànn bacià

Se ti ànn baciato niente importa prendi l’ume e và a dormìr

Domà matina ben bonora dal Signor Sindaco ga ‘ndarò me

Ma buongiorno Signor Sindaco ò una cosa di raccontar

Mi àn baciato la mia figlia e voglio avere sodisfaşiòn

Sodisfaşione ve l’ó già data vostra figlia tignìla a cà

E non lasiatela per le contrade a far l’amore coi militar

I militari son traditori traditori nel far l’amor

Ci promettono di sposarle e  poi le lasiano in libertà

 

Durante l'esecuzione della canzone vengono proiettate immagini di contadine al lavoro, dalle ricerche dei fotografi citati.

 

Eugenio Goglio



  



 

 

 

Fazioli Ernesto





 

 

 

Magnolini Simone



       

 

 

 

Navoni Pierluigi (da "Archivio di etnografia e storia sociale" Regione Lombardia (AESS)

 

 

 

Zambelli Torquato

 

Le immagini sono visualizzabili a grandezza originale

sul sito della regione Lombardia 

http://www.lombardiabeniculturali.it   

 

Partitura

 

Traduzione

 

E la bella di Offlaga a raccogliere l'erba se ne va

Ha il viaggio troppo lungo e si siede a riposar

Passa di lì un bel giovane che la voleva per ben baciare

Torna a casa dalla sua mamma, mamma mia mi han baciato

Se ti han baciato niente importa prendi il lume e vai a dormir

Ma buongiorno o signor Sindaco ho una cosa da raccontare

Mi han baciato la mia figlie e voglo avere soddisfazione

Soddisfazione gliel'ho già data la vostra figlia tenetela in casa

E non lasciatela per le contrade a far l'amore coi militari

I miliotari son traditori, traditori nel far l'amor

Promettono loro di sposarle e poi le lasciano in libertà 

 

Note

 

Canto narrativo raccolto a Cigole (BS) da Glauco Sanga e Paola Ghidoli in "Dialetto e Folklore" Ricerca a Cigole.

Informatrice Giulia Bontempi detta Senelå.

 

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Già nel ciél tranquilla luna

 

SECONDA EDIZIONE ACCRESCIUTA E CORRETTA Minatili aitai Ormine cura HORAT POESIE

 

Nel 1836 per la Migliaresi e C. usciva un testo di poesie dell'avvocato Carlo Alberto Monteverde (180?- 188?).

Fra queste poesie ce n'era una dal titolo "Barcarola" che iniziava così:

 

 

Una nota, dello stesso autore dice che questa poesia è stata musicato da un compositore, suo contemporaneo, di nome Fabio Campana.

 

 

Monteverde e Campana lavorereanno insieme, l'uno come librettista e l'altro come musicista, ad un'opera lirica "Giulio d'Este", dramma tragico in tre atti, lavoro che dal punto di vista del pubblico ha avuto poca fortuna ma, a detta dei critici, si tratta di un'opera di ottima inventiva oltre che di grande rigore formale.

Della "Barcarola" scritta da Monteverde e  musicata da Campana, purtroppo non ne rimane alcuna traccia.

 

E questa è la prima parte della storia.

 

Risalendo fino alla cima la Valsassina, scollinnando a Nord, si incontra una piccola valle, di soli 18 chilometri, la Valvarrone, formata dal torrente Varrone che si getta nel lago di Como, all'altezza di Dervio.

Il comune più popoloso della valle è il comune di Premana (Promàan). Questa località era già nota al tempo degli antichi romani che vi si recavano per commissionare spade e armature che la gente del posto fabbricava sfruttando le miniere di ferro del monte Legnone. Ancora oggi la cittadina è capitale europea delle forbici in quanto, nell'immediato dopoguerra, la gente di Premana, a causa dell'isolamento geografico della valle, si è ingenata nella produzione di forbici e coltelli. In ogni scantinato si sente il rumore delle mole che gli artigiani del posto utilizzano per affilare gli utensili.

Come in ogni paese geograficamente isolato, Premana ha mantenute salde le proprie tradizioni: la viglia dell'Epfania, per le contrade del paese sfilano i coscritti in costume, intonanando la canzone "Noi siamo i tre Re".

Alla festa del Corpus Domini, tutti gli abitanti vestono i costumi tradizionali di Premana e si trovano alla sera a cantare nelle anguste piazzette e nei piccoli slarghi fra le abitazioni letteralmente aggrappate alle pendici scoscese della Valvarrone.

Alcune anziane signore, danno bella mostra di sè indossando normalmente il bel costume tradizionale.

In questa realtà si sono mantenute intatte le tradizioni dei contadini e della pastorizia, oltre all'attività nelle miniere e all'indotto che ne deriva.

Anche le canzoni tradizionali (il cosiddetto canto a "Tìir) si mantengono e si rinnovano grazie alla grande passione che gli abitanti di tutta la Valvarrone riservano al canto corale.

 

I ricercatori Glauco Sanga e Pietro Sassu, alla fine degli anni sessanta hanno raccolto, dai Cantori di Premana, una canzone il cui testo è praticamente identico al testo di C.A. Monteverde e, viene esguito, a tutt'oggi, da un coro a tre e, in qualche caso anche quattro voci che si intersecano, vanno in assonanza e di nuovo si diversificano, con una fantasia e una vitalità impressionanti.

 

Scrive Pietro Sassu in "Como e il suo territorio" della collana "Mondo popolare in Lombardia" coordinata da Roberto Leydi:

 

" ... 

Il canto a Tìir è la polivocalità tipica della tradizione musicale del paese di Premana.

...

La linea melodica si confonde con le linee aggiuntive e le singole parti si intersecano con crescente intensità.

La melodia conduttrice può debordare inaspettatamente verso l’acuto o verso il basso.

... "

La nostra difficoltà, nell'arrangiare la canzona per una voce sola, è stata proprio quella di capire quale avrebbe potuto essere la melodia originale scritta da Fabio Campana, seguendo le innumerevoli linee melodiche dei Cantori di Premana.

 

Già nel ciel

tranquilla Luna

suona l'ra dell'amor

deh mi porti

all'altra sponda

giovinetto remator

Il cantautore Angelo Baiguera interpreta in un suo disco questa stessa strofa in una canzone dalla melodia molto diversa da quella raccolta a Premana. Stiamo cercando di metterci in contatto con lui per capire se la sua canzone parte in effetti da un brano popolare o se non abbia rivestito di musica la prima strofa della poesia di C.A. Monteverde:

 

"Brilla il ciel tranquilla è l'onda

suona lìora dell'amor

deh mi porti all'altra sponda

giovanetto remator"

Partitura

 

Note

 

Canzone originariamente scritta da Carlo Alberto Monteverde e musicata da Fabio Campana (partitura irreperibile).

Raccolta alla fine degli anni sessanta a Premana (Lc) alta Valsaasina (Valvarrone) da Glauco Sanga e Pietro Sassu.

Informatori: Cantori di Premana.


 

  

Le immagini sono tratte da una ricerca a Premana

di PIERLUIGI NAVONI

e sono visualizzabili a grandezza originale

sul sito dell'Archivio di etnografia e storia sociale della Regione Lombardia (AESS)

http://aess.regione.lombardia.it  

 

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Dona Lombarda

 

Rosmunda, figlia di Cunimondo viene conquistata come preda di guerra da Alboino, Re dei Longobardi, Dopo una dura battaglia contro i Gepidi di cui Cunimondo era Re.

La leggenda racconta che Alboino, dopo una notte di gozzoviglie, costrinse Rosmunda a bere dal cranio del padre Cunimondo.

Rosmunda giurò vendetta e una notte, con l'aiuto dell'amante Elmichi, uccise nel sonno il Re Alboino.

Ma anche con Elmichi i rapporti si guastarono e Rosmunda mise del veleno nel vino di Elmichi che, accortosi dell'inganno, costrinse anche Rosmunda  a bere delle stesso vino ed entrambi Morirono.

L'uccisione di Alboino risale al 572, più di mille e cinquecento anni fa ma questi fatti sanguinosi incisero profondamente nell'immaginario collettivo tanto che la canzone "Donna Lombarda" (sarebbe meglio dire "Donna Longobarda") è in assoluta la canzone popolare più diffusa e sono state rinvenute innumerevoli versioni in tutta l'alta Italia, oltre che in Francia e nell'Italia centrale e meridionale.

 

Un ricco signore propone a Donna Lombarda di amarlo. Donna Lombarda si rifiuta in quanto maritata. Il signore allora le insegna a come farlo morire. Bisogna pstare la testa di un serpente velenoso e metterla nel vino, quello più buono. Il marito ritorna a casa assetato e Donna Lombarda gli offre il vino avvelenato.

Fino a questo punto tutte le versioni, più o meno, combaciano.

In alcune il figlio di Donna Lombarda, di pochi mesi, palesa al padre l'inganno e, a questo punto il marito costringe la donna a bere il vino avvelenato.

In altre versioni il marito beve e, accortosi del veleno, uccide con la spada Donna Lombarda.

In altre versioni ancora, il marito si accorge del veleno ma decide comunque di immolarsi per amore della donna.

 

Nel nostro concerto presentiamo la parte lirica della vicenda in cui il signore propone le sue intenzioni a Donna Lombarda. La stessa versione appare anche nel disco che Sergio Endrigo ha dedicato alle canzoni popolari venete e, questa versione è stata interpretata in coppia con Mia Martini.

Ameme mi, o Donna Lombarda

ameme mi, ameme mi

ameme mi, o Donna Lombarda

ameme mi, ameme mi

Vusto ch'io t'ama

che g'oi marito

vusto ch'io t'ama

che g'oi marì

vusto ch'io t'ama

vusto ch'hio t'ama

vusto ch'io t'ama

che g'oi marì

Oi che pecà vu ssia maritata

oi che pecà

oi che pecà

oi che pecà vu ssia maritata

oi che pecà

oi che pecà   

Partitura

 

Traduzione

 

Amatemi me o Donna Lombarda.

Tu vuoi che io ti ami, ma ho marito.

Oh che peccato che voi siate maritata.

 

Note

 

Canzone pubblicata su "Canzoni popolari Venete" di Sergio Endrigo, interpretata in coppia con Mia Martini.

 



Immagini dal filmato "I Longobardi" di History Channel

http://www.youtube.com/watch?v=Qyfj4mZ54N8 

 

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Quèla che canta l'è öna maredadå

 

Questa canzone monostrofica, in endecasillabo piano, racchiude in maniera esemplare la disillusione delle giovani ragazze una volta maritate.

In alcune versioni, la strofa è seguita da altre strofe, sempre in endecasillabi, molto più spesso associate ad un'altra canzone diffusissima il tutto il territorio bresciano: "O malghisì che sgurì la paröla".

Nella nostra versione abbiamo preferito proporla isolata, con il melisma finale,  per meglio evidenziare e permettere quindi apprezzarne il profondo significato.

 

Quela che canta l'è öna maredadå

sentila nela us la gh'è falçadå

sentila nela us e nele pene

la maredadå no la g'à più bène

 

O-o o-o

 

 

Partitura

 

Traduzione

 

Quella che canta è una maritata

Sentitela nella voce le si è velata (falsata)

Sentitela nella voce e nelle pene

La maritata non ha più bene

 

Note

 

Canzone raccolta a Cigole (BS) da Glauco Sanga "Dialetto e Folklore" Ricerca a Cigole.

Informatrice Francesca Girelli.

 

http://www.comune.cigole.bs.it/uploadimages/ViaMarconi.jpg

 

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Cecilia

 

Un letterato e nobile ferrarese Giambattista Giraldi detto Cinzio (Cinghio, 1504-1573) ha raccolto nel testo "Hecatommiti" una serie di racconti popolari tra cui il racconto di una donna che, per salvare il marito condannato a morte, soggiace alle voglie del capo delle guardie ma, il capo delle guardie, dopo aver abusato della donna, non mantiene la promessa e il marito viene comunque ucciso.

Si tratta di un racconto diffuso non solo in Italia ma in tutta Europa.

A riprova dell'estrema diffusione del racconto, dobbiamo ricordare il fatto che lo stesso Shakespeare, nel suo "Misura per misura" riferisce di Claudio, condannato a morte per aver messo in cinta la sua fidanzata prima del matrimonio.

La sorella di Claudio, suor Isabella accetta di dormire con Angelo, il capo della polizia, pur di salvare il fratello Claudio.

Per fare un esempio ancora più vicino a noi, citiamo l'opera lirica "Tosca" di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica (ispirati da una novella di Victorien Sardou).


 

 Tosca è innamorata, essendone ricambiata, del pittore Cavaradossi che, per motivi politici viene condannato a morte.

Il capo delle guardie Scarpia è segretamente innamorato di Tosca e propone a Tosca di salvare la vita di Cavaradossi in cambio di un favore sessuale da parte sua. Dopo lo splendido "Vissi d'arte, vissi d'amore", Tosca saccetta di concedersi a Scarpia dietro la promessa che la fucilazione del pittore Cavaradossi avverrà con i fucili caricati a salve.

Cavaradossi si avvia alla fucilazione cantando un'altra splendida pagina della musica lirica italiana: "E lucean le stelle".

Purtroppo per lui i fucili non erano a salve e Cavaradossi viene giustiziato.

Tosca, scoperto l'inganno, pone termine alle sue sofferenze gettandosi da una torre della prigione Castel Sant'Angelo.


 

Cavaradossi                                   Tosca                                      Scarpia

 

Nella canzone "Cecilia", sicuramente antecedente a Tosca, la storia è praticamente identica e, affacciandosi alla finestra dopo una notte passata con il capitano della prigione, scopre che suo marito è stato giustiziato, nonostante il suo sacrificio.

Dopo l'introduzione in cui Ccilia si reca alle carceri, partono i quattro momenti classici (quattro atti?):

Cecilia confessa al marito di aver avuto la proposta da parte del capitano della prigione

Il marito acconsente acchè Cecilia dorma con il Capitano pur di aver salva la vita

Il tradimento di Cecilia

La scoperta che comunque il marito ha subito la condanna a morte

Durante l'esecuzione della canzone, passano sullo schermo, insieme ai manifesti di Tosca, le immagini di alcuni cantastorie che, dall'immediato dopoguerra fino ai nostri giorni, hanno girato le piazze e i mercati dell'alta Italia raccontando storie simili a quella di Cecilia e altre storie.

Una menzione particolare spetta a Giovanna Daffini, a detta di tutti, una delle voci più emozionanti del panorama della canzone popolare italiana che si appostava agli angoli delle strade, nei giorni di mercato e intonava le sue ballate accompagnandosi con la chitarra e sostenuta dal violino del marito Vittorio Carpi che, per amore di Giovanna aveva abbandonato l'orchestra della Scala nella quale suonava come primo violino.

 

 

Cecilia va alle carcere a trovar suo marì

Caro marito mio na cosa te devo dì

Ghe s’è un capitano che vuol dormir con mi

Dormi dormi Ceciclia salvè la vita a mi

Prepara i linsioi bianchi e ‘l letto ben furnì

Dormi dormi Ceciclia salvè la vita a mi

Cos’è la meşanotte Cecilia dà un sospir

Che sospirè Cecilia che sospirè mai vù

Dormi dormi Cecilia salvè la vita a lù

Cos’è nel far del giorno Cecilia và al balcòn

La vede suo marito tacado a picolòn

Boja de un capitano ti m’à tradìo così

Ài tolto a me l’onore la vita al mio marì

Ài tolto a me l’onore la vita al mio marì

Partitura

 

Traduzione

 

Cecilia va alle carceri a trovare suo marito

Caro marito mio una cosa ti devo dire

C'è un capitano che vuol dormire con me

Dormi, dormi Cecilia, salvami la vita

prepara  le lenzuola bianche e il letto ben fornito

cos'è la mezzanotte Cecilia dà un sospiro

Cosa sospirate, Cecicila, cosi sospirate mai voi

Dormi, dormi, Cecilia, salvate la vita a lui

Cos'è nel far del giorno Cecilia và al balcone

e vede suo marito attaccato a penzoloni

Birbante di un capitano tu mi hai tradito così

hai tolto a me l'onore e la vita a mio marito

 

Note

 

Canzone raccolta a Pellestrina (Ve) da Gian Luigi Arcari nel 1964.

 

Adriano Callegari

Agostino Callegari

Bruno Pianta,

Sandra Mantovani

e Cristina Pederiva

Caterina Bueno

 

Angelo Cavallini

 

Giacomo Ferrari

 

Giovanna Daffini

 

I Brav Omm

 

Ivan Della Mea

 

Sandra Boninelli

 

Sandra Mantovani

 

Sorelle Bettinelli

e Roberto Leydi

 

Vincenzina Melli

e Angelo Cavallini

Vittorio Carpi

View Image

Fabrizio Poggi

Luciano Ravasio

 


Un'altra immagine di

Giovanna Iris Daffini

 

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E lée la va de sura (la ricciolona)

 

E Le la va de sura e Le la vien da basso

E Le la sente il passo ma del caretér

E Le la sente il ciocco ma dela scöriada

E Le l’è innemorada ma del caretér

 

Il carretére lü l’è sempre intorno

Tutta la notte e il giorno e lü l’è mai con me

Tutta la notte e il giorno tutta la settimana

E Le l’è innemorada ma del caretér

Quando la sente il ciocco ma dela scöriada

E Le la corr in strada a veder chi è

A veder chi è a veder chi sia

Sì l’è l’amante mia che viene a ritrovar

 

E la ricciolina na e la ricciolona

le l’è inneomrada ma del caretér

Partitura

 

Traduzione

 

E lei va di sopra e lei viene da basso / e lei sente il passo del carretiere.

E lei sente lo schiocco della scuriata / e lei è innamorata del carretiere.

 

Il carrettiere è sempre in giro / tutta la notte il giorno non è mai con me.

Tutta la notte e il giorno tutta la settimana / lei è innamorata del carrettiere.

 

E quando sente lo schiocco dell scuriata / lei corre in strada a vedere chi è.

A vedere chi è a vedere chi sia / sì è l'amante mia che viene a ritrovar.

 

E la ricciolina e la ricciolona / lei è innamorata del carrettiere.

 

Note

 

Canzone raccolta a San Pellegrino da Bonaventura Foppolo nel libro "Ricerca a San Pellegrino, Aplecchio e Serina".

Informatore Camillo Milesi.

 

Durante l'esecuzione del brano vengono proiettate alcune immagini di Osio di ieri e di oggi.

 

 

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Guarda là quella chiusa finestra

 

Il testo mi è stato gentilmente inviato da Efrem Gianola presidente della Proloco di Premana e gestore del museo etnografico di Premana.

 

 

Guarda là quella chiusa finestra

dove riposa l'amato mio bene

dove riposa l'amato mio bene

dove riposa l'amato mio ben

dove riposa l'amato mio ben

Dormi dormi o angiol beato

e fa di un sonno che sia giocondo

e fa di un sonno che sia giocondo

come l'amore che nutro per te

come l'amore che nutro per te

 

 

Strofa non cantata durante il concerto

 

Guarda là su quei prati fioriti

dove ci sono le piante seccate

dove ci sono le piante seccate

come faranno un giorno a fiorìr

come faranno di nuovo a fiorìr

 

Partitura

 

Note

 

Canzone raccolta a Premana (Lc) alta Valsassina (Valvarrone) da Glauco Sanga e Pietro Sassu.

Informatori: Cantori di Premana.

 

Dalla ricerca fotografica a Premana di Pierluigi Navoni

 

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El me murùs el sta de là del Sère

 

Il fiume Serio, che nasce dal monte Torena, dopo una prima fase torrentizia, superata la barriera di Casnigo, assume un andamento più lento e scende zizzagado nella valle che, nel frattempo, si è andata allargando.

Per questo motivo i ragazzi dei paesi si vedevano alla Domenica alla messa e nel giorno del mercato; per il resto della settimana non potevano vedersi pur abitando a poche centinaia di metri di distanza.

"El me murùs l’i stà de là del Sère" è la tipica canzone di scherno che i ragazzi e le ragazze si rivolgevano.

Le strofe di questa canzone sono innumerevoli e nascevano soprattutto spontaneamente man mano che la canzone veniva cantata e riflettevano, molto spesso, situazioni paesane note a tutti quali i difetti delle singole persone o riflettendo situazioni particolarmente piccanti capitate in paese.

Abbiamo scelto quelle che generalmente venivano cantate in quasi tutte le versioni raccolte di questo che, per estensione territoriale, potrebbe essere considerato l'inno della Valle Seriana.

 

Durante l'esecuzione del brano vengono proiettate le immagini di tutti i comuni sul cui territori scorre il fiume Serie, dal monte Torena alla Bocche di Serio del comune di Montodine.


 

  

El me murùs l’i stà de là del sère

A l’è picinì ma ‘l g’à le gambe bèle

L’è picinì ma ‘l g’à le alte ùs

El pu sé bel del munt l’è ‘l me murùs

 

El me murùs l’è bel e pó l’è bel

Al g’à du risulì sota ‘l capel

Al g’à du risulì d’öna caviada

Se lü l’è bel e me ó inemorada

 

E mi stanot g’ó fat un sogno mato

Sognàe che ‘l m murùs el me stringeva al braccio

E me g’ó facc per daga d’ü basì

Ma g’ó basat la födra del cüsì

 

El me murùs al m’à mandà öna nus

El m’à mandat a dì che lü l’è spuss

E me g’ò riscuntrat öna nisöla

Se lü l’è spuss e me g’ò şa ona fiöla


Partitura

 

Traduzione

 

Il mio moroso abita di là dal Serio / è piccolino ma ha le gambe belle / è piccolino ma ha le alte voci / il più bello del mondo è il mio moroso.

Il mio moroso è bello e poi è bello / ha due ricciolini sotto il cappello / ha due ricciolini sulla pelata / sì lui è bello e io sono innamorata.

Io stanotte ho fatto un sogno matto / ho sognato che il mio moroso mi stringeva al braccio / e io ho fatto per dargli un bacino / ma ho baciato la fodera del cuscino.

Il mio moroso mi ha mandato una noce / mi ha mandato a dire che è sposato / ma io gli ho rimbalzato una nocciola / se lui è sposato io ho già una figlia.

 

Note

 

Canzone raccolta a Ripalta Cremasca (Cr) Basso corso del fiume Serio, da "Cremona e il suo territorio" di Roberto Leydi e G. Bertolotti.

Informattrici: Sorelle Bettinelli, Luigina, Natalina e Franca.


 

Le sorelle Bettinelli 

 

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Dammi un rìccio

 

"Dammi un riccio" compare, come strofa interna, nella "Canzoncina di un innamorato" pubblicata su un foglio volante stampato a Torino nel 1892 dalla tipografia operaia di Via Massena, 5.

Dopo questa prima pubblicazione, la canzone è entrata a pieno titolo a far parte integrante del repertorio dei cori alpini.


 

 

 

   

 

Dammi un riccio dei tuoi capelli

che io li tengo per tua memoria

quando sarò sul campo della vittoria

i tuoi capelli sì sì li bacerò

 

I tuoi capelli son ricci e belli

sono legati a fili d'oro

angelo del cuor mio per te io muoio

angelo del cuor mio per te io morirò


Partitura

 

Note

 

Canzone raccolta a Ranica (Bg) Valle Seriana, dal repertorio di Aquilina Conti "Ricerca a scanzorosciate, Nese e Ranica.

Informatrice: Rita Tombini.

 

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